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La finalità della legge è
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contribuire allo sviluppo del settore librario, al sostegno della creatività letteraria, alla promozione del libro e della lettura, alla diffusione della cultura, alla tutela del pluralismo dell'informazione
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ma in realtà è una legge dannosa, che <strong>non</strong> favorisce la diffusione dei libri (da quando aumentare il prezzo e ridurre la concorrenza nella distribuzione favorisce l'accesso del pubblico a un bene?), ma soprattutto <strong>facilmente aggirabile</strong>.
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La legge si propone evidentemente di tutelare le librerie (soprattutto quelle piccole) dagli sconti iperaggressivi delle grandi catene, evidentemente anche quelle di <strong>commercio elettronico</strong> (Amazon, per intenderci). Avete mai visto il film “C'è posta per te”? Ecco, quel tipo di battaglia. Limtando gli sconti, si pensa, la libreria di quartiere non dovrà svenarsi e poi chiudere perché da lei i libri costano di più che alla Coop. Ma allora, uno pensa, è una tutela non del libro, ma di una forma di distribuzione particolarmente inefficiente? In realtà non è nemmeno così.
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Se uno ha due — ma proprio due — rudimenti di economia comprende che:
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Le grandi catene fanno sconti, ma tengono al margine;
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Le grandi catene hanno un potere d'acquisto sugli editori che le librerie non hanno;
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Le grandi catene sono in grado si scaricare gran parte del costo dello sconto sugli editori, fino ad erodere il <em>loro</em> margine;
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Impedendo gli sconti, l'editore ottiene un livellamento verso l'alto dei costi, meno pressione sul prezzo e in definitiva scarica sul consumatore finale il costo di tale inefficienza mantenuta.
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In tutto ciò, gli autori non vedono un centesimo in più o in meno delle proprie royalty, perché la loro percentuale non cambia. È un po' difficile vedere come in tutto questo si possa “aumentare la creatività letteraria”, se non attraverso dubbi meccanismi di feedback.
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Ma veniamo alla parte più stupida. La legge si applica anche al <strong>commercio elettronico</strong>. Giusto, è inutile chiudere una porta e aprire un portone. Peccato che il commercio elettronico è per sua definizione a-territoriale e sussiste un principio di libera prestazione dei servizi e di <strong>libera circolazione delle merci</strong>. Se pur l'Italia può stabilire (anche se su questo possiamo avere dei dubbi) una politica degli sconti, e dunque una politica dei <strong>prezzi</strong> sostanzialmente <strong>imposti</strong> dall'editore (!), questa non può affatto essere imposta a un operatore che se ne sta in Olanda e che offre lo stesso bene (un libro italiano) in Italia e in Germania: il prezzo <em>deve </em>essere lo stesso. Il contrario sarebbe sicuramente contrario alle norme dei Trattati. Per cui un operatore italiano può essere soggetto a sanzioni per comportamenti che un operatore olandese non subisce.
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Uno Stato che consapevolmente danneggia e discrimina i <em>propri</em> operatori a vantaggio di quelli esteri. Qualcuno non percepisce la stupidità della situazione?
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